Fine estate, uno dei quei giorni limpidi che arrivano dopo un temporale estivo, un sottile maestrale increspa le acque del bacino di San Marco. Dietro le cupole si intravede una corona di monti. In piedi, borsa a tracolla, aspetto che il vaporetto attracchi al molo dell’isola di San Giorgio Maggiore.
Ci sono posti che sono un rifugio e in cui di tanto in tanto bisogna tornare, quasi come un pellegrinaggio laico per ricaricare lo spirito e la ragione. Il rifugio non sono le architetture di Andrea Palladio. Il rifugio sono poco meno di centotrenta metri lineari di pavimento in rovere, che ospitano tavoli e sedie della stessa latifoglia e lunghi scaffali di libri. Il rifugio è la nuova Manica Lunga della Fondazione Giorgio Cini. Un tempo luogo in cui i monaci riposavano il corpo, ora è dove si possono approfondire gli studi sulla storia dell’arte. Vecchie abitudini di quando, a Venezia, ci venivo da studente.
Fine estate è anche tempo di Biennale: anno pari, tocca ad Architettura.
Lascio i libri in anticipo rispetto al solito e mi dirigo verso il giardino dell’isola. Nel boschetto ci sono dei piccoli edifici, dieci cappelle: si tratta del padiglione della Santa Sede, che partecipa per la prima volta alla Biennale di Architettura. É un fatto singolare che l’artefice dei più grandi episodi architettonici dell’ultimo millennio partecipi per la prima volta alla rassegna. D’altra parte è solo dall’ultimo secolo in poi che l’uomo erige più edifici museali che luoghi di preghiera, quasi a segnalare un altro tipo di religione, rivolta a sé stesso e al suo passato piuttosto che ad un immaginario e divino al di là.
I passi sul giardino si dirigono verso la laguna sud, dalla regolarità delle basse siepi del labirinto si passa agli alti fusti di platani e pini marittimi, l’ombra unita al vento fresco della brezza marina mi invitano a girare per i vialetti. Sono dieci cappelle, e un piccolo padiglione espositivo.
Il padiglione prende volutamente ispirazione all’opera di Gunnar Asplunde, che insieme a Sigurd Lewerentz progettò l’area cimiteriale nella foresta appena fuori a Stoccolma. Il primo edificio ad essere costruito fu proprio una cappella in legno, una cappella col bosco.
Legno e bosco. Era Re Salomone che diede l’ordine affinché fossero i cedri del Libano a fare da tetto al Tempio; ora quel tempio non esiste più, così come sono rarissimi quei cedri, custoditi e venerati come vere reliquie viventi. Gli ordini classici, triglifi e metope, così come colonne e capitelli, non sono altro che la “pietrificazione” dei precedenti edifici in legno.
Continuo l’escursione tra gli alberi, dieci cappelle per altrettanti progettisti, ognuno ha dato la sua declinazione dello spazio sacro, alcuni ricercano gli stilemi ancestrali, altri indagano nuove forme, decostruendo lo spazio, lasciando che sia il bosco a fare da soffitto e da parete.
Anche i materiali accostati sono diversi, pietre, intonaci, così i metalli e le ceramiche sottolineano i tratti semplici delle piccole cappelle. Il legno ritorna in molti episodi. Sotto forma di tronco sbozzato, di tavola, di pannello, di scandola, di elemento lavorato. Utilizzato come rivestimento, struttura, decoro. Bello trovare una rassegna di architettura dove progetti si possono toccare con mano a scala reale, e non racchiusi in plastici e tavole.
Esco dal boschetto, con questi pensieri. Ritorno al battello e faccio ritorno verso casa. L’ondeggiare dolce del vaporetto accompagna il gesto del pollice sullo smartphone. Scorro Instagram, molti amici sono in vacanza e postano le loro foto, cartoline digitali senza francobollo. Spazi sacri, chiese e templi, spesso realizzati in legno.
C’è un vento freddo che arriva dall’Artico. Qui al Nord è dove la tradizione ortodossa russa ha espresso il meglio di sé nella Chiesa della Trasfigurazione, nella lontana isola Kizi, sul lago Onega. Nestor, il capomastro a dirigere i lavori, la ideò partendo dal semplice block bau, incastrando tronchi di conifera tra di loro.
Cupole a bulbo su ottaedri basati sulla croce greca, l’occhio continua a correre e a perdersi tra i tronchi scuri e le scandole bianche. Nestor non volle utilizzare la sega ma soltanto l’ascia, per spaccare le fibre del legno e non reciderle, dando così al legname una durabilità maggiore. La leggenda narra che al termine dei lavori abbia gettato la scure nel lago Onega, esclamando che una cosa del genere non era mai stata realizzata e mai più lo sarà. Strano modo di andare in pensione.
Praterie del Kansas, candide tavole chiudono una struttura a telaio in legno. All’interno dell’edificio i colori sono più vivaci, il pastore fa il suo sermone. Sono le chiese che punteggiano gli Stati Uniti e che ne hanno costruito l’immaginario collettivo. Le pareti sono a telaio, chiuse da tavole in entrambi i lati, i soffitti lavorati con elaborate capriate decorate, come la miglior tradizione anglosassone e i barn (fienili a campata unica) insegnano.
Hanami, lo spettacolo della primavera giapponese e dei ciliegi in fiore. I candidi petali e il delicato profumo giocano con i templi di Kyoto. Per quasi un millennio, fu proprio Kyoto la capitale del Giappone. Forti tifoni e violente scosse di terremoto hanno disegnato il carattere degli edifici, dove i tetti spioventi sono sorretti da un complicato sistema di incastri tra i piccoli travetti di legno. É proprio grazie agli incastri che l’energia sismica si dissipa e si attenua. Ogni venticinque, trent’anni alcuni di questi vengono smontati e rifatti, non perché il legno che li costruisce si sia deteriorato o siano strutturalmente danneggiati, ma solamente per svelare alla nuova generazione di carpentieri tutti i segreti di queste strutture. Prima di brandire l’ascia e lo scalpello pregano, affinché lo spirito dell’albero che stanno per abbattere li aiuti a costruire travi, colonne e capitelli migliori.
Uno scossone improvviso contro l’imbarcadero, stoppo la chitarra acustica che suonava negli auricolari e nei miei pensieri.
Scendo, il vaporetto riparte sbuffando, mi giro verso il Canal Grande. Si ferma un barchino, lega la cima alla palina di rovere, scendono un paio di ragazzi. Hanno con loro tavole e plastici: sono studenti di Architettura di ritorno dalla sessione estiva, ridono e scherzano. L’esame è andato bene a quanto pare. Uno di loro esclama: “Allora tengo io il plastico con l’installazione in legno? Magari un giorno la realizzo sul serio”. Ribattono gli altri: “Poi fatti un selfie e mettilo su Instagram!!!”