Non so dirvi il perché, ma son sempre stato attratto dalle coperture, dalle loro travi e dalle loro capriate. Forse per il vizio di avere la testa per aria, probabile. Ogni volta che entro in grande salone, o in una soffitta il mio sguardo va verso l’alto, a provare a capire come stia in piedi “il coperto.”
Immaginatevi quando, all’epoca studente, arrivai alle Gaggiandre all’Arsenale di Venezia. Scodinzolavo come un cagnolino. Eh ognuno ha le sue. Uno scrittore impazzirebbe di fronte a un manoscritto di Charles Dickens, un musicista avrebbe reazioni incontrollate di fronte ad uno Stradivari, uno scultore verrebbe rapito dai bozzetti di Michelangelo. Ecco ed io che di mestiere costruisco case in legno, di fronte ad una capriata non riesco a resistere, devo capire come funziona, con che specie legnosa sono state realizzate le loro parti, come son state tagliate, come queste stiano insieme tra di loro, quale sia la loro co-azione.
Ma infondo non era un pallino solo mio, tutti i trattatisti del passato, hanno dedicato ampie pagine e ricche illustrazioni sul tema delle coperture e del loro strutture. Erano le pagine che più sfogliavo da bambino. D’estate nei caldi pomeriggi il posto più fresco della casa era la libreria. E così tra un National Geographic e i libri di arte della nonna sfogliavo i libri di Scamozzi, Palladio, Vasari, Serlio, Vitruvio, e ho imparato a famigliarizzare con i termini come Monaco, Puntone, Saetta.
“Fa di bifogno fare il coperto: il quale abbracciando ciafcuna parte della fabrica ….”
Son le parole di Andrea Palladio, nei Quattro Libri dell’Architettura, non più di venti righe che si articolano scritte nel veneto di metà cinquecento. La lettura è rallentata dalle difficoltà linguistiche. Ed è forse quella lentezza permette alle parole di scolpirsi ancor meglio nella memoria. E così entrando nelle ville della pianura, o nei palazzi della laguna, si vedono gli effetti che Palladio intendeva.
“Quell’altezza che renda il coperto garbato”
Non centrano rapporti aurei o particolari prescrizioni matematiche, ma la funzionalità dettata dalle esigenze metereologiche. Che l’acqua scorra, che le nevi non gravino sui travi.
“Varie sono le maniere di difporre il legname del coperto…”
E lì dove il mio occhio volge, a capire la disposizione delle travi, a capire il funzionamento delle capriate, di come queste raccolgano lo sforzo e lo trasferiscano agli appoggi. Mirabili le fabbriche dove per luce o per esigenze le capriate si evolvono legandosi una con l’altra, dando tridimensionalità alla struttura. Nodi incastri, tenoni mortase, cuneei contrapposti che serrano pezzi di trave. Occhi attenti leggono anche la manutenzione le teste sostituite, le travi cambiate, piccole correzioni e aggiustamenti che nei secoli hanno mantenuto, al scienza costruttiva della fabbrica.
Spesso da studente prima e da professionista poi, ho disegnato e studiato quei nodi, come venivano tagliati, con quali specie legnose realizzate, e come queste venissero messe in opera.
Mi son sempre chiesto se mai un giorno avrò la fortuna di progettare coperture così complesse e articolate, nel frattempo non mi resta di guardarle dall’alto al basso e rimanere con la testa per aria. “E mirar, L’ingegno e il giudizio dell’architetto, la vivacità dei capimasti, le differenze dei paesi dove si fanno i coperti e la qualità dei legnami messi in opera”